Quand’ero incinta la gente non faceva altro che “avvertirmi” di ciò che sarebbe accaduto poi. Così ho trascorso gran parte di quei dieci mesi (diciamocelo, la gravidanza ne dura dieci, non nove, di mesi) in uno stato di terrore assoluto. Quegli avvertimenti mi arrivavano da ogni parte — in fila alla cassa da Target, per strada, mettendomi le scarpe, uscendo da yoga. Avvertimenti, avvertimenti ovunque di come sarebbero andate le cose — dai dolori strazianti del parto a quell’ombra di me stessa che sarei diventata dopo aver dato alla luce mia figlia. A volte mi sentivo una condannata a morte che provava a costringersi a godere di qualche piccolo lusso, nonostante la mia taglia e il disagio che provavo, perché a chiunque chiedessi risultava ovvio che la bella vita sarebbe finita presto!

Ma LA mia preferita la sapete: “Dormi finché puoi!” (e le sorelle: “Goditi il silenzio!”, “Fatti le unghie — dopo non ne avrai più modo”, e la buona vecchia: “E quando ce l’avrai il tempo per una doccia?”). Con tutti questi minacciosi avvertimenti a darmi l’impressione che la fine del mondo stesse per arrivare, si erano dimenticati di dirmi che cosa stava veramente per accadere.

Me lo dovevano dire che avrei amato mio marito ancor di più, una volta che sarebbe diventato padre del mio perfetto fagottino, che non sarei neanche più riuscita a ricordare come funzionasse quello vecchio, di amore. Che avremmo avuto delle difficoltà, dei litigi, perlopiù battibecchi, certo — ma che avremmo creato delle nuove e divertenti abitudini passando il tempo al volante per la città con lei che ronfava sul sedile posteriore. Che le avremmo appioppato dei nomignoli ridicoli, facendocela sotto dal ridere. Che lui avrebbe finalmente imparato ad assicurarsi che ci fosse sempre una bottiglia di vino in casa per me, e che quella sarebbe stata la cosa più romantica che io avessi mai visto. Che avrei origliato mentre le cambiava i pannolini, dicendo: “Sono Papà. Pa-pà. Per prima cosa dirai Papà”. E che in quel momento il mio cuore si sarebbe sciolto in un fiume di lava bollente, zampillandomi dal petto per finire di nuovo sul pavimento.

Me lo dovevano dire che nonostante la stanchezza, svegliarsi per prendermi teneramente cura dei suoi bisogno sarebbe stata l’esperienza più gratificante della mia vita. Che quando ci saremmo ritrovate, noi due sole, sveglie alle quattro del mattino, avrei fatto tesoro di quel lieve silenzio che avvolgeva il mondo intero, il gatto ai miei piedi e la mia bimba fra le braccia mentre la allattavo, piangendo perché giorni come questi sono fugaci. Me lo dovevano dire che quando le tutine da neonata non le sarebbero più entrate la cosa mi avrebbe spezzato il cuore. Che certi giorni avrei trascorso le ore a osservarla, incurante delle scadenze. Che i suoi gridolini non mi avrebbero disturbato, ma mi avrebbero spronato ad agire, e che quando poi sarei riuscita a calmarla mi sarei sentita come una rockstar dopo un concerto. Che avrei dormito. Forse non ogni notte, e magari non troppe ore di fila. Ma che il mio turbamento più grande sarebbe stato temere che ogni volta che riposava sul mio petto poteva essere l’ultima. Che assaporarmi la sua condizione di neonata sarebbe diventato un lavoro a tempo pieno, il migliore che avrei mai avuto.


Be the first to comment on "Me lo dovevano dire…."