Ho pagato il killer per l’uccisione del mio bambino.

Mi chiamo Milena, abito a Milano. Anni fa, quando mi sono accorta di essere in stato di gravidanza, per il banale incidente della rottura del profilattico, ho trascorso 45 giorni di profonda disperazione, angoscia, paura, ansia, depressione. Avevo sposato un uomo che giocava a soldi. Mio padre era molto malato. Dalla mia città ci siamo trasferiti al paese di mio marito. Lui, alla sera, usciva sempre, andava al bar a giocare a carte e puntava una cifra. La sera stessa del nostro matrimonio, i nostri vicini di casa dissero che sarebbero venuti a portarci i doni. Mio marito era nervoso, non riusciva a stare fermo e, dopo breve tempo, mi disse che sarebbe andato al bar, a prender eun caffè con gli amici. Con molta fatica riuscii a trattenerlo, ma in seguito non è mai rimasto in casa, nei cinque anni del nostro matrimonio.

Non vedevo una lira del suo stipendio, ma lui pagava la spesa; non sapevo nemmeno in quale giorno percepiva lo stipendio. Eppure mio marito era buono, forse anche troppo; si prodigava molto per gli amici, riconosceva i sacrifici che facevo in casa e quello che sopportavo riguardo a sua sorella. Abitavamo in una piccola frazione e, anche se avevo la patente, non mi muovevo mai. Ero esasperata, gli dicevo che alla prima occasione me ne sarei andata, ma lui pensava che io scherzassi. Gli ho detto centinaia di volte che se avesse smesso di giocare, sarebbero cambiate molte cose fra me e lui. Sua sorella disturbava molto il nostro matrimonio. Spesso entrava in casa senza chiedere il permesso ed inveiva violentemente contro di noi, con minacce di buttarci fuori casa.

Chi avrebbe messo al mondo un bambino in quella situazione di guerra? Mi ero premunita, ma mi è andata male. In quei 45 giorni ero in preda al panico per la paura dell’aborto, ma allo stesso tempo avevo una grande contentezza nel cuore, quel bambino così piccolo mi confortava in quei giorni, era un grande segreto, una dolce comunione fra noi due soli, non mi faceva più sentire così sola.

Se avessi avuto un pò di pace dentro di me, se fossi stata lontana da quel posto, ma soprattutto, se avessi avuto la conoscenza di Dio che ho ora, oggi il mio bambino avrebbe 12 anni, sarebbe felice con me; comunque, il mio piccolo è seduto qui accanto a me, in spirito, mi sprona a scrivere questa lettera affinchè siano salvati molti bambini e molte donne siano felici. In quel periodo non sapevo a chi rivolgermi, dove chiedere aiuto, non potevo confidarmi con nessuno e mi guardavo bene dall’avvicinarmi a qualche consultorio, proprio perchè in quegli uffici, come in quasi tutti gli uffici italiani, gli assistenti sociali sono freddi, distaccati, metallici e dopo avere trascritto i miei dati, mi avrebbero detto: “Torni il tal giorno, all’ora tale.”

Il mio bambino ed io non potevamo aspettare il “tal giorno”. Avevo bisogno di amare, il futuro mi spaventava a morte, tutto un pesante fardello di continue sofferenze gravava sulle mie spalle, già prima del matrimonio. Quel piccolo bambino soffriva molto perchè sapeva che stavo per prendere una decisione letale per lui, chiedevo perdono a Dio, a tutti i bambini abortiti nel mondo e a tutti i fratelli che vivono sulla terra. Fino a qualche anno fa, non sapevo che un bambino appena concepito sentisse il litigio dei genitori o la madre che non lo accetta e ne potesse soffrire, ma pensavo che nei primi giorni fosse solo un grumo di sangue, non in grado di recepire sensazioni, emozioni, sentimenti, gioie, dolori. Chiedo a tutti di perdonarmi.

Ho preso appuntamento con il ginecologo, che ha cercato di farmi capire in poche parole, che era il mio primo bambino, di tenerlo, che ne sarei stata contenta e me lo ha ripetuto altre due volte. Ma purtroppo ho scelto l’aborto. Ho pagato il killer per l’uccisione del mio bambino.

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