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“episodio di una gravità e un’atrocità inaudite” una scena aberrante

A Lugo, in provincia di Ravenna, c’è stato un triste episodio riguardante un gatto ucciso dopo aver subito delle indicibili sevizie. A segnalarlo è stata l’Enpa, che parla di “episodio di una gravità e un’atrocità inaudite”. Ci si augura che il colpevole, o i colpevoli, possano essere assicurati alla giustizia, in quanto chi ha ammazzato l’animaletto mostra degli evidenti segnali di squilibrio psichico ed antisociale. Il micio aveva circa 2 anni ed è stato ritrovato legato con del fil di ferro ad una recinzione, appeso a testa in giù. Il tutto si è verificato a Belricetto, una frazione di Lugo. L’Ente Nazionale Protezione Animali ha anche fatto sapere che intende sporgere denuncia contro ignoti per il reato di maltrattamento ed uccisione di animali. Il gatto ucciso si chiamava Oliver ed apparteneva alla signora Luisa.

Gatto ucciso, la sua padrona è scioccata da tanta violenza

La donna ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa, anche se si è detta profondamente scossa. Non vedeva tornare a casa Oliver nella serata di domenica, a differenza degli altri due gatti che vivono con lei. Luisa pensava ad un contrattempo, come ad esempio al fatto di essere rimasto chiuso in un garage dei vicini. Una cosa che era già accaduta altre volte. E comunque i gatti per abitudine tendono ad allontanarsi di casa pur vivendo in un ambiente domestico, per poi rifarsi vivi anche a distanza di qualche giorno.

Ma stavolta non è stato così. Ed anche lunedì, martedì e così via Oliver non ha dato segni di presenza. Così Luisa si è messa alla ricerca del gatto ucciso, scoprendo l’orribile verità da una sua vicina di casa. Oliver era stato legato col fil di ferro attraverso un nodo scorsoio. Più si agitava e più lo stesso si stringeva. Per il povero animaletto è stata una fine orribile. E la cosa non trova alcuna spiegazione, visto che né Oliver né gli altri suoi gatti hanno mai dato fastidio a qualcuno. E non è l’unico episodio di violenza nei confronti di un povero gatto. Il più recente risulta essere ugualmente atroce ed è andato in scena nel Pisano.

 

Napoli: neonata con sindrome di down abbandonata nella ‘culla termica’ del Policlinico Federico II

La bimba, originaria dell’Est Europa e con sospetta sindrome di down, è stata lasciata da qualcuno sabato pomeriggio all’incirca verso le 13 e 30.

Ha poco più di quattro mesi la neonata che è stata abbandonata nella giornata di sabato mattina nella culla termica del Policlinico Federico II di Napoli. La piccola, originaria dell’Est Europa e con sospetta sindrome di down, è stata abbandonata da qualcuno sabato pomeriggio intorno alle 13 e 30. Il medico di guardia, la dottoressa Letizia Capasso, ha soccorso e visitato la neonata e poi ha disposto il suo trasferimento nel reparto di Neonatologia dell’ospedale napoletano. In base a quanto detto da Il Mattino la neonata si trova in buone condizioni di salute.

Ad agosto il primo neonato abbandonato nella culla termica del Policlinico

NapoliIl primo neonato ad essere stato abbandonato nella culla termica del policlinico Federico II è stato il piccolo Alessandro. Quando il piccolo è arrivato, ovvero il passato agosto, aveva sole due settimane e pesava tre chili e 700 grammi. La culla termina è stata inaugurata quasi 10 anni fa (nel 2008) ed è situata all’ingresso dell’ospedale in via De Amicis. La culla è caratterizzata dal fatto che nel momento in cui viene aperta da qualcuno scatta un segnale d’allarme che fa intervenire un ambulanza con a bordo il neonatologo di turno e la vigilatrice. Il bambino viene preso da questa culla e trasportato nel reparto di terapia intensiva prenatale del dipartimento di Pediatria del Policlinico.

La culla termica dell’ospedale fa parte del progetto ‘Ninna-ho’, il primo progetto a scala nazionale che ha come obiettivo quello di equipaggiare i nosocomi italiani di culle termiche destinate all’accoglienza dei piccoli che che vengono abbandonati. In base ai dati forniti dal ministero delle Pari Opportunità si stima che sono circa 3mila i casi di abbandono all’anno.

“Sono fisicamente troppo bella per trovare un uomo.”

Dawn Cousins

Dawn Cousins vive a Londra con i suoi 4 figli e lavora come receptionist. La donna ha una famiglia che la ama e vive nella città che tanto ama. Tuttavia c’è un dettaglio nella sua vita che la rattrista: non riesce a trovare l’amore. Ia ragione? In base a quanto lei stessa afferma, sarebbe troppo bella.

“La mia vita è sempre stata molto bella e felice, ho sempre avuto quello che volevo, grazie alla mia bellezza ed al mio modo di essere. Mi chiamo Dawn Cousins, sono di Londra, ho quattro figli ed ho quarantaquattro anni, ma ne dimostro venti. Da qualche anno c’è una cosa che non mi rende più felice: non riesco a trovare un uomo che mi possa rendere felice!

La mia ultima storia è finita nel 2003, sono stata fidanzata quattro anni, una storia molto bella, ma da quando è finita, non riesco a capire perché non riesco più ad innamorarmi. Credo di essere troppo attraente per la mia età. Ovviamente non credo di avere tutti questi anni, anzi non li dimostro proprio.

Quando esco con i miei figli mi dicono sempre che sembro la sorella e non la madre e questa cosa, inizialmente mi rendeva felice, ora, però mi rendo conto che in questa maniera attiro tutti i ragazzini, che non guardo nemmeno!

Dawn CousinsHo provato anche ad iscrivermi ad alcuni siti su internet per over quaranta, ma non credo di meritare un uomo vecchio o con la pancia, è stato terribile. Sono uscita anche con dei ragazzi più giovani di me, ma ovviamente, era una cosa impossibile, troppo immaturi per me!

Con la mia bellezza, attiro solo uomini che pensano solo all’aspetto estetico e non a come sono fatta realmente, a volte vorrei non essere così bella. Vorrei solo trovare una persona con cui passare il resto della mia vita e che mi ami e mi rispetti, non credo di chiedere molto. Credo che in questo paese non ci sia nessuno per me e vorrei trasferirmi in America e vedere se li sono più fortunata!”

Il post di questa mamma è diventato subito virale. Inutile dire che ci sono stati sia commenti negativi che positivi. Chissà se questa donna e madre riuscirà a trovare l’amore che tanto cerca e spera.

Figlia tolta ai genitori perché troppo vecchi: “Ora va restituita”

Genitori-nonni, il pg: “Ridategli la figlia”

Ricorderete il caso di Gabriela e Luigi, due genitori di Mirabello a cui tempo fa era stata tolta la figlia – nata nel 2010 – perché considerati troppo anziani. La donna oggi ha 57 anni, mentre il marito e padre della piccola ne ha 69. Nella giornata del 30 novembre , il Pg della Cassazione Francesca Ceriani ha chiesto che la bambina sia ridata ai genitori biologici, poiché il fatto che la bimba “sia stata adottata non può ottenere tutela perché si tratta di una situazione la cui genesi non è legale“.

I genitori confidano nella giustizia

Gabriela e Luigi

I genitori, fa sapere l’avvocato, sono emozionati e confidano nella giustizia, con la speranza di poter riabbracciare la loro bambina. Eccetto quello anagrafico, nessun altro elemento ha spinto nel 2010 la corte di Cassazione a sollevare dalla responsabilità genitoriale Gabriella e Luigi.

Infatti, il pretesto fu la segnalazione di un vicino di casa che aveva avvertito i carabinieri perché la piccola era rimasta un attimo sola in auto, sul seggiolone, mentre il padre scaricava le borse della spesa. Da quell’episodio è iniziato il calvario della coppia, fino alla decisione del tribunale secondo il quale Viola non sarebbe più tornata da mamma e papà poiché troppo “anziani ed egoisti” per prendersi cura della piccola nata grazie alle tecniche della fecondazione assistita.

La motivazione del tribunale

La motivazione che il Tribunale aveva dato fece rabbrividire tutti quanti. Infatti i giudici erano dell’opinione che la piccola sia stato “il frutto di una applicazione distorta delle enormi possibilità offerte dal progresso in materia genetica” e che il desiderio di concepirla sia stata “una scelta che, se spinta oltre certi limiti, necessariamente implica l´accantonamento delle leggi di natura e una certa indifferenza rispetto alla prospettiva del bambino“.

Una nuova speranza

Di conseguenza la piccola venne affidata ad un’altra famiglia. Per un preve periodo a Luigi e Gabriella era stato concesso il permesso di vederla sotto gli occhi vigili degli assistenti sociali. Poi 4 anni fa, nel 2013, in base a quanto disposto dei magistrati, arrivò lo stop definitivo di visite e contatti.

Oggi, però, per la coppia vi è di nuovo la speranza di poter tornare a vedere e crescere la loro bambina, portatagli via ingiustamente per motivazioni ingiustificabili.

“Se me ne vado prima di te…” Le parole che hanno commosso tutto il mondo.

Queste le toccanti parole di una donna a suo suo marito, per rassicurarlo nell’eventualità che lei possa passare a miglior vita prima di lui. Un lettera ricca di emozioni diventata subito virale e che ha fatto commuove tutto il mondo

La lettera:

“Se me ne vado prima di te, non piangere per la mia assenza; rallegrati per tutto quello che abbiamo amato insieme. Non cercarmi in mezzo ai morti, dove non siamo mai stati insieme, trovami in tutte quelle cose che non esisterebbero, se tu e io non ci fossimo conosciuti.

letteraSarò sempre al tuo fianco, non dubitarne, in tutto quello che abbiamo creato insieme: nei nostri figli ovviamente, ma anche nel sudore che abbiamo condiviso, tanto nel lavoro come nel piacere, e nelle lacrime che ci siamo scambiati.

E in tutti quelli che sono passati nella nostra vita e che irrimediabilmente, hanno assorbito qualcosa di noi, e lo portano dentro di sé, senza che noi lo notassimo, qualcosa di te e di me.

Anche i nostri fallimenti, la nostra indolenza e i nostri peccati, saranno testimoni permanenti che siamo stati vivi, insieme, e non eravamo angeli ma umani.

Non ti legare ai ricordi, né agli oggetti, perché quando guarderai qualunque posto dove siamo stati, quando parlerai con chiunque ci abbia conosciuti, lì ci sarà sempre qualcosa di mio. Tutto ciò che abbiamo toccato sarebbe diverso, se non avessimo accettato di vivere insieme il nostro amore durante molti anni; il mondo porta con se un po’ di noi.

Non piangere la mia assenza, perché ti mancheranno solo le mie parole nuove e il mio calore in quel momento. Piangi se vuoi, perché il corpo si riempie di lacrime davanti a ciò che è più grande di lui, che non è capace di comprendere, ma sa che quando la lingua non è capace  di esprimere un emozione, solo possono parlare gli occhi”.

Verona, bambini presi a schiaffi e costretti a mangiare vomito: maestra d’asilo a processo

Bambini percossi, rinchiusi in luoghi buii, costretti a mangiare con la forza. Maltrattati talmente tanto che, dopo anni, alcuni di loro hanno ancora paura. A Verona sta avendo luogo un processo contro un’insegnante 43enne di un asilo nido.

Sta avendo luogo un processo nei confronti di una insegnante 43enne accusata di maltrattamenti nei confronti dei bambini di un asilo nido di Verona. I piccoli che sarebbero stati picchiati, rinchiusi al buio, obbligati a mangiare con la forza, a volte anche il vomito. La maestra, ora imputata, svolgeva nel periodo a cui risalgono i fatti anche il ruolo di coordinatrice all’interno della scuola. Come ricostruiscono i quotidiani locali, secondo il pubblico ministero Elvira Vitulli dal 2008 al 2013 l’insegnante avrebbe avuto, verso molti bambini dell’asilo, una condotta psicologicamente e fisicamente violenti. Avrebbe utilizzato metodi poco ortodossi per punirli: li prendeva a schiaffi, li pizzicava sulle labbra quando piangevano, li sculacciava e strattonava se non volevano dormire ecc… Quando i bambini si rifiutavano di mangiare la donna in questione li avrebbe obbligati con la forza e, per punizione, li lasciava da soli nel corridoio.

Le testimonianze contro l’insegnante

Verona“Mia figlia la chiamava ‘la maestra cattiva‘: una sera è tornata a casa, dicendo che l’insegnante le aveva dato una sberla e l’aveva fatta cadere a terra, così il giorno dopo ho chiesto spiegazioni e lei ha negato di averla picchiata, ma ha detto di averle dato uno straccio in mano perché pulisse ciò che aveva rigurgitato”, ha detto la mamma di una delle bambine che sarebbero state maltrattate durante il processo. L’insegnante, dal canto suo, ha sempre negato ogni accusa.

“Mi raccontava che veniva rinchiusa al buio per punizione e da allora, anche adesso che ha undici anni, continua ad avere paura e deve sempre essere accompagnata da qualcuno”, ha raccontato un’altra mamma. Tra le persone che hanno testimoniato durante il processo ci sono anche alcune colleghe dell’insegnante. Una di queste ha ricordato un episodio: una bambina stava mangiando uno yogurt e la collega l’avrebbe forzata mettendole il cucchiaino in bocca tanto da far rimettere la piccola. “A quel punto lei ha raccolto ciò che era uscito con il cucchiaino e lo ha dato alla bambina”, ha affermato l’insegnante. Un’altra ha raccontato di una bambina che aveva difficoltà a dormire al buio: “Quel giorno ha vomitato sul cuscino e ho visto la nostra coordinatrice che cercava di farla ricoricare sempre lì”.

Omicidio Loris di 3 anni fa: la madre Veronica Panarello scrive una lettera al figlio

3 anni fa moriva Loris: la lettera di Veronica Panarello

Il 29 novembre di 3 anni fa il piccolo Loris, di 8 anni veniva strangolato, in casa sua a Santa Croce Camerina, nel Ragusano, con una fascetta di plastica per poi essere buttato nel canalone della contrada Mulino Vecchio. É questo l’agghiacciante scenario nel quale si è svolta una delle più controverse vicende giudiziarie degli ultimi anni, unica indagata la mamma del bimbo, Veronica Panarello.

La lettera di mamma Veronica

Veronica PanarelloQualche giorno fa, la donna, dopo tre anni dal terribile dramma, è tornata a parlare. Infatti, Veronica ha scritto una lettera al figlio: “Loris mio grande amore, faccio tanta fatica a scriverti. La tua assenza è un vuoto incolmabile, un dolore lancinante una ferita aperta quotidianamente a cui non darò mai la parola rimarginata“.

I ricordi non bastano più e poterti riabbracciare è un desiderio fortemente sentito, non ci sei più ma io continuo a negarlo a me stessa perché accettarlo è impensabile. Sono trascorsi tre anni ma tu sei sempre presente nel mio cuore, nella mia mente e non c’è istante nella mia quotidianità in cui non ti senta al mio fianco, vorrei che tu mi prendessi per mano e mi conducessi dove il tempo non esiste per poter ricevere da te quel bacio che mi lasciava le guance umide.” Queste le parole della mamma del piccolo, per la quale è giunta martedì la richiesta di conferma in appello della condanna a 30 anni di carcere.

I fatti

“Fragile e bugiarda”, cosi è stata definita dagli inquirenti. Veronica Panarello, durante i mesi di detenzione in carcere, si è sempre proclamata innocente, cambiando più volte versione dei fatti, fino ad arrivare a quella definitiva.

Per lei a prendere la vita di suo figlio sarebbe stato il suocero Andrea Stival, con il quale aveva una relazione extra-coniugale che Loris avrebbe scoperto. “Una versione non suffragata da alcuna prova”, ha affermato il pm Marco Rota, il quale ha richiesto per l’indagata una condanna a 30 anni di reclusione.

La disperazione di papà Davide

Davide, il marito, o meglio ex marito della donna, vittima di una tragedia si è visto portar via il figlio e il lavoro per badare a quello più grande. L’uomo si affida alla giustizia, convinto che farà il suo dovere.

Dopo una vita rovinata da droga e satanismo Emanuele ritrova pace in Dio sul Cammino di Santiago

Una vita fatta di divertimento, apatia, satanismo, alcool e droga, basata su una classica convinzione: credersi un dio! Un sedicenne lontano dalla fede e dagli affetti familiari, che attraversa le strade della propria giovinezza con l’assurda illusione di poter bastare a se stesso, consumando la propria vita in bizzarre e pericolose trasgressioni.

Sono le premesse che Emanuele Masina, autore e lavoratore a Brescia di una fabbrica, narra nel suo libro, “800 km… per ritrovarmi”, pubblicato da Edizioni Messaggero Padova, prima di cedere il passo al cammino di conversione che lo aiuterà a superare il baratro della morte verso cui la sua vita sembra destinata.

La conversione

Emanuele

In cammino verso Santiago di Compostela (il famoso pellegrinaggio verso la tomba di San Giacomo), così l’autore inizia la sua nuova avventura che l’aiuterà a ritrovare se stesso e l’efficacia di una fede in Dio mai vissuta pienamente prima di allora. «Nella mia adolescenza – racconta Emanuele – mi sono tuffato in acque sporche, dove il fondo non si vedeva mai. Per risalire in superficie ho risposto a un invito e mi sono trovato a camminare sotto il sole per ventinove giorni, imparando ad ascoltare, e specialmente ad ascoltarmi dentro».

La strada è dura, e nelle pagine del suo libro, Emanuele, racconta le emozioni e le domande che risiedono nel suo cuore, a volte all’apparenza senza risposta. Ma tali quesiti lo condurranno piano piano a riconosce la fragilità umana e nello stesso tempo a dare alla propria vita un orizzonte diverso… migliore. «Ho scoperto la mia vera natura. Ho capito chi sono e cosa voglio dalla vita. Questi ottocento chilometri mi hanno aiutato a rivivere i mille errori commessi, verso i miei familiari, il mondo e tutta l’umanità intera per farmi vergognare di cosa ero diventato. Adesso ho acquisito una forza interiore così grande, che voglio condividere con tutti voi».

La ricerca di «un alleato invisibile»

Emanuele

Il testo pubblicato da Edizioni Messaggero Padova narra le contraddizioni e il desiderio di stabilità interiore che molti giovani hanno in comune tra di loro: l’assenza – come lo definisce l’autore – di «un alleato invisibile» capace di colmare un’intera esistenza. Adesso – spiega Emanuele al termine del suo cammino«vivo la vita con semplicità, cercando di non pretendere troppo da essa. Mi affido alla divina provvidenza per fare le scelte importanti. Ho abbandonato il superfluo dei miei averi. Non voglio indossare nessuna maschera per apparire bello agli occhi delle persone. Voglio essere me stesso in tutti i giorni che avrò ancora da camminare. Ho riacquistato la fiducia nelle persone e con umiltà, accetto le sfide che mi vengono proposte ogni giorno davanti a me, cercando di migliorarmi sempre di più e volgendo il mio sguardo al cielo».

Serve un viaggio – scrive nel prologo del libro Luciano Monari, vescovo di Brescia – per «reimparare a fare attenzione alla natura con la sua bellezza, anche la sua ripetitività. […] Se la persona accetta di vedere il suo passato così com’è, senza giustificarlo a priori, senza alterarlo con razionalizzazioni, il risultato è che il passato poco alla volta guarisce e prendono forza desideri nuovi, i desideri più veri e profondi del cuore».

Ikea, madre con due figli piccoli licenziata perché non rispetta i turni: colleghi protestano

Una dipendente dell’Ikea di Corsico, nei pressi di Milano, è stata licenziata poiché non rispettava i turni di lavoro. Tuttavia la donna, madre divorziata e con due figli piccoli, di cui uno disabile, aveva già avvertito precedentemente l’azienda che non sarebbe riuscita sempre a rispettare i nuovi orari in seguito ad un cambio di mansione, proprio a causa dei bimbi. In primis l’azienda l’aveva rassicurata che non ci sarebbero stati problemi: poi il licenziamento in tronco.

ikeaUna dipendente dell’Ikea di Corsico, nei pressi di Milano, è stata licenziata dopo 17 anni di lavoro poiché non rispettava i turni lavorativi. Il punto è che la donna, madre separata con due figli di 10 e 5 anni, di cui uno disabile,  era impossibilitata a rispettare i nuovi orari imposti dall’azienda svedese dopo un cambio di mansione: a causa del bimbo piccolo – per cui la madre usufruiva dei permessi relazionati alla legge 104 – la dipendente sapeva già che sarebbe stato impossibile presentarsi ogni giorno al lavoro alle 7 del mattino. Marica Ricutti, così si chiama la 39enne in questione, in base a quanto detto al quotidiano “La Repubblica” prima di iniziare la nuova mansione aveva informato l’azienda riguardo la sua necessità. In un primo momento era stata rassicurata dicendole che non ci sarebbe stato alcun problema, però poi Marcia è stata più volte ‘rimpallata’ da un referente all’altro, senza avere una risposta riguardo la sua richiesta di flessibilità oraria. Pertanto la 39enne ha deciso di continuare a fare gli stessi orari che faceva prima del cambio di mansione, ovvero dalle nove del mattino fino alla fine del turno.

Il licenziamento in tronco

IkeaLa settimana scorsa Ikea le ha spedito una lettera nella quale comunicava il licenziamento in tronco.  In questa lettera, il colosso svedese sottolinea che è venuto meno il rapporto di fiducia in due occasioni in cui la dipendente si sarebbe presentata al lavoro in orari diversi da quelli previsti, una volta due ore in anticipo, l’altra due ore in ritardo. Il licenziamento è stato reso noto dalla Filcams Cgil di Milano, il segretario generale Marco Beretta ha affermato: “Alla faccia del welfare svedese. In questi anni Ikea ha cambiato pelle e questo episodio è un chiaro messaggio rivolto ai lavoratori. Vogliono far capire a tutti che decidono loro e, a prescindere dai problemi che può avere ognuno, o accettano o sono fuori. In questi giorni organizzeremo raccolte firme, presidi e volantinaggi”. I colleghi di Marica hanno già organizzato due scioperi di solidarietà contro la decisione dell’azienda. Adesso non resta che attendere la posizione ufficiale di Ikea in merito.

Ikea: “Stiamo svolgendo approfondimenti”

“In merito alla situazione di Marica Ricutti, IKEA Italia comunica che sta svolgendo tutti gli approfondimenti utili a chiarire compiutamente gli sviluppi della vicenda. – si può leggere in una nota – L’azienda vuole valutare al meglio tutti i particolari e le dinamiche relative alla lavoratrice oggetto della vicenda. Solo dopo aver completato questa analisi, IKEA Italia commenterà le decisioni prese e le ragioni che ne sono alla base”.

“Ero così grassa che stavo uccidendo mio figlio” Il cuoricino del suo bambino non batteva più…

Le avevano comunicato che il cuore del suo bambino non batteva più. Dopo poco il suo corpo ha cominciato a rigettare il piccolo ed è entrata in coma. I dottori l’hanno operata d’urgenza, ma durante il cesareo, guardando nel suo grembo hanno visto qualcosa di incredibile, sono rimasti sconvolti…

Shannen RoanShannen Roan quando è rimasta di suo figlio aveva 20 anni e pesava oltre i 107 Kg. Alla ventiseiesima settimane di gestazione, le è stato diagnosticato lo streptococco B. Di solito, i batteri dello streptococco B sono innocui, ma visto che Shannen era in dolce attesa, le hanno causato delle perdite di sangue. Come ogni mamma spaventata, si è recata immediatamente al pronto soccorso. In seguito ad un controllo approfondito, i medici, con immensa desolazione, le hanno comunicato una terribile notizia. Non riuscivano più a sentire il battito del suo bambino, il piccolo era con probabilità morto.

Il coma e la nascita del piccolo

Shannen RoanNei giorni a seguire, Shannen stava sempre peggio e secondo i medici, il suo corpo stava rigettando il bambino. La donna è entrata in coma e mentre era incosciente, per provare a salvarle la vita, hanno deciso di togliere il feto dal suo grembo, attraverso un taglio cesareo.

Tirato fuori il bambino i medici rimasero sconvolti poiché si accorsero che il piccolo era ancora vivo! George, questo il suo nome, è stato tenuto sotto osservazione in incubatrice fino al risveglio di Shannen.

“Non riuscivo a crederci, ho aperto gli occhi e loro parlavano, felici… la mia famiglia, i miei genitori, i medici, il mio bambino era nato, George era vivo!”

“È stato surreale quando mi è stato concesso di vederlo qualche giorno dopo, sarebbe potuto essere il bambino di chiunque, dato che non ricordo di averlo dato alla luce.”

Un nuovo stile di vita

Shannen RoanQuesta neo-mamma ha continuato con il suo stile di vita durante tutto l’allattamento poi si è iscritta al Cambridge Weight Plan, dove è stata aiutata a tornare in forma ed avere un regime sano e salutare. “Sapevo che non avrei potuto continuare così, secondo i medici, è stato il troppo grasso a non permettere loro di sentire il battito del cuoricino del mio bambino. Quando sono tornata a casa, mi sono guardata allo specchio, ho avuto vergogna di me, avevo davvero toccato il fondo.”

“Ma, poiché stavo allattando e George si ammalava spesso se mangiavo qualcosa di diverso dai carboidrati, i chili continuavano ad accumularsi. Poi, a giugno, quando mi sono unita Cambridge Weight Plan, sono riuscita ad attenermi ad una dieta sana.”

La ragazza britannica ha perso 45 chili e ha raccontato su Facebook tutto il suo percorso, scaturendo interesse e ammirazione da parte di tutti i suoi contatti. La passione per il cibo è crollata, di fronte al grandissimo amore per suo figlio.