Tutti e due moldavi, i ragazzi iniziano a frequentarsi: hanno solo un anno di differenza, ma Irina a differenza del fidanzato è molto più matura. Forse proprio questa diversità li allontana, mettendo fine a quella storia. Infatti, lui inizia a frequentare un’altra, Irina però, non può andare avanti perchè viene a sapere di essere in dolce attesa: il piccolo è di Mihail.
Il ragazzo, però, non è vuole questo bambino tanto da chiederle di abortire: lei accetta, senza dire niente né alla madre né alla sorella di quanto sta accadendo nella sua vita. Trascorrono diverse settimane e Irina si rifà viva con il suo ex per informarlo di una cosa importante. Non ce l’ha fatta, non è riuscita a porre fine alla gravidanza, quel figlio lo vuole tenere.
Le cose iniziano a peggiorare poichè il ragazzo insiste per interrompere la gestazione, ma ormai è tardi, Irina è incinta di sei mesi e non c’è altro da fare che prepararsi alla nascita del bambino. Una sera di marzo Mihail gli propone di incontrarsi per parlarne. Forse avrà pensato Irina che Mihail si è persuaso ad occuparsi di lei e del bambino. Da quel momento il cellulare della ragazza risulta staccato, Irina non si fa sentire né con la sorella né con la mamma, che ne denuncia la scomparsa.
Le indagini si indirizzano subito verso il giovane moldavo. Infatti il ragazzo è l’ultima persona che ha visto Irina e per questa ragione viene fermato all’uscita da scuola. Messo alle strette, tre giorni dopo il delitto confessa: “L’ho uccisa io, ora vi mostro dove l’ho lasciata”. Il corpo gracile di Irina, con la sua pancia di sei mesi, è stato lasciato sotto un cumulo di rami e foglie in un fossato in località Manzana, nel Coneglianese. L’autopsia conferma che la ragazza è stata stordita attraverso dei colpi alla testa, che le hanno spaccato il cranio. Ma questa non è la causa della morte, infatti è morta per asfissia: è stata strangolata. L’esame inoltre conferma che Irina era incinta di un maschietto e il bambino era di Mihail.
Nelle ore che seguono all’arresto il giovane moldavo non ha mostrato alcun pentimento, al contrario, i particolari della sua confessione sono un pugno nello stomaco. “Ho preso un sasso che era lì a terra e l’ho colpita alla tempia sinistra una sola volta. Ho visto Irina che perdeva sangue ed era già caduta per terra, già non si muoveva più. Una volta che era a terra l’ho stretta al collo”. “La pietra – prosegue il 19enne – l’ho messa in macchina, ma prima l’ho avvolta in alcuni fazzoletti di carta perché era sporca di sangue e non volevo imbrattare l’auto”. A dir poco agghiacciante: si è preoccupato più della sua preziosa Renault Clio. Non ha provato alcun rimorso per quando fatto a Irina e al bambino che portava in grembo, tanto che dopo averla uccisa le ha sfilato la collanina ed è andato a venderla al più vicino compro oro. Quanto ricavato lo ha usato per giocare al videopoker. Dopo è tornato alla sua vita di studente, come se Irina non fosse mai esistita.
Al processo celebrato con rito abbreviato, il ragazzo è stato condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, non è stata accolta la richiesta di ergastolo avanzata dal pm.
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