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Un bacio stava per ucciderlo: “È stato davvero orribile e spaventoso”

Parker O’Neill è un bambino di 16 mesi e non molto tempo fa ha rischiato la vita a causa di una grave forma di herpes. Il piccolo ha preso il virus dopo che uno sconosciuto gli ha dato un bacio. Il piccolo si è ritrovato con delle piaghe rosse e dolorose su tutto il corpo.

Parker O’Neill è un bimbo di 16 mesi, viene da Derry, nell’Irlanda del Nord, e la sua storia ha dell’incredibile. Il passato agosto, la mamma, Maria, si è accorta delle piccole macchie rosse in alcune parti del suo corpo ma, una volta richiesto un consulto medico, le è stato detto che non era nulla di cui preoccuparsi. Tuttavia con il passare del tempo, la situazione è peggiorata e quei puntini sono diventati delle piaghe rosse e dolorose.

Il ricovero in ospedale

Parker O’NeillDopo aver portato per la seconda volta il piccolo in ospedale, la diagnosi è stata terribile. Il bimbo aveva contratto una grave forma di herpes che si stava diffondendo su tutto il corpo. Per colpa di questo virus Parker è stato costretto a rimanere ricoverato per una settimana sotto antibiotici e antivirali. Dopo aver analizzato le sue condizioni di salute si è scoperto che era stato un semplice bacio ricevuto da parte di uno sconosciuto ad aver causato quella terribile reazione.

“È stato davvero orribile e spaventoso, non avevo mai visto nulla di simile. L’eruzione non era normale, i medici hanno scoperto che Parker soffriva anche di anemia”, ha raccontato mamma Maria. Il virus dell’herpes solitamente provoca un’eruzione cutanea sulla bocca per quanto riguarda gli adulti ma per i neonati può essere davvero fatale poiché si estende facilmente a tutto il corpo. Adesso Parker sta piano piano recuperando, anche se ha ancora il corpo pieno di cicatrici e se soffre di eczema. Per fortuna è così piccolo che probabilmente non ricorderà niente di questo periodo traumatico ma probabilmente i segni non andranno più via. La mamma, intanto, si sente tanto fortunata perché, grazie a Dio, quel virus non ha avuto alcuna conseguenza grave sul corpo del bambino

Marocchino salva bimbo di due anni: «Poteva essere mio figlio»

L’uomo, originario di Casablanca, ha chiamato subito i carabinieri. «È stato mio figlio a notarlo da solo per strada. I genitori del bambino non mi hanno ringraziato? Va bene così»

Ad accorgersi del bambino è stato suo figlio Mohammed, attaccante tredicenne del Montà, quando è rincasato domenica dopo la partita di calcio. «Papà, qui fuori c’è un bambino da solo. È normale?». Abdelouamed stava cucinando, è uscito immediatamente fuori l’abitazione e si è trovato un bambino di due anni e mezzo, senza cappottino o giubbotto, che vagava da solo per strada con la faccia un po’ spaesata. «Dov’è la tua mamma?», gli ha domandato. Ma il piccolo gli ha preso la mano, forse per farsi riportare a casa. Ma era chiaro: non sapeva dove andare. Abdelouamed è rimasto ancora un po’ fuori con lui, sperando di trovare la mamma o il  papà del bimbo, poi ha chiamato i carabinieri del comando provinciale di Padova.

L’arrivo dei carabinieri

Sono stati loro, a riportare il bambino agli ignari genitori, che erano usciti a comprare i regali di Natale affidando il piccolo al fratello maggiore quindicenne. I coniugi sono stati segnalati ai servizi sociali e denunciati per abbandono di minore, anche se in realtà erano sicuri della vigilanza del figlio più grande.

Il pensiero di un padre: «Era naturale aiutarlo»

Abdelouamed

Forse è per questa ragione che i due non hanno neanche ringraziato Abdelouamed Sarour. Un uomo di 48 anni di Casablanca, da ventuno in Italia dove sono nati i suoi due figli, Mohammed, 13 anni, e Ines, di undici. «Quando ho visto il bambino da solo ho agito da padre, senza pensare a un grazie o a una ricompensa», racconta a Il Corriere della Sera. «Si capiva che era uscito di casa all’improvviso, perché non era coperto. Ho temuto che sua madre si fosse sentita male o che fosse caduta in cucina. Ho provato a farmi indicare la strada da lui, ma quando ho capito che non sarebbe riuscito a mostrarmela ho chiamato subito i carabinieri, non potevo fare altro. L’ho fatto sedere in una sedia vicino a casa mia e ho aspettato che arrivassero i militari».

«Era una cosa naturale. Mia moglie – continua Abdelouamed – è morta per un tumore tre anni fa e sto crescendo da solo i miei due figli. Sono un padre, poteva essere mio figlio». La verità è che questa vicenda poteva non avere un lieto fine. Grazie a lui è finita bene.

Silvia Salemi: “Ho perso una sorella e anche la voce”

la cantante Silvia Salemi si racconta attraverso un’intervista al settimanale Chi

Vincitrice del Premio Volare al Festival di Sanremo del 1997, kermesse che la vide piazzarsi al quarto posto con la canzone “A casa di Luca”, Silvia Salemi in realtà ha dovuto lottare per riuscire a a cantare di nuovo in seguito al grave lutto che ha colpito tutta la sua famiglia.

Lo racconta lei stessa nel libro autobiografico “La voce nel cassetto” che ha presentato durante un’intervista rilasciata al settimanale “Chi”.

Silvia Salemi: “Ho perso una sorella e anche la voce”

Silvia SalemiIl libro esce nelle librerie giovedì 23 novembre, il libro inizia dall’esperienza della Salemi sul palco dell’Ariston.

Poco prima dell’esibizione, la cantante ritorna con la mente alle sue origini, alla sua infanzia nonché al terribile trauma che le aveva portato via la voce.

“Ho perso una sorella e, per il trauma, anche la voce. Ma sono religiosa e il cielo mi ha fatto molti regali, tra cui restituirmi la capacità di cantare”.

Silvia Salemi viveva a Palazzolo Acreide, un paese siciliano non molto grande che si trova in provincia di Siracusa, un luogo ben lontano dalle grandi città che potevano offrirle molte più opportunità di avere successo nel campo della musica.

Qui viveva con i nonni mentre i suoi genitori si prendevano cura di sua sorella maggiore, Laura, che aveva la leucemia, malattia che l’ha portata via troppo presto, una ferita che sembrava aver compromesso la sua voce per sempre.

O almeno era ciò che pensava prima di trovare un registratore conservato in un cassetto.

“Metto ‘play’ e ascolto due voci. Una di mia sorella Laura, l’altra – chiara e senza difetti – la mia. Quel giorno ho deciso che dovevo ritrovare quella voce”.

Un sogno che si realizza

Decisa ad inseguire il suo sogno, motivata da quella voce ritrovata all’interno di quella registrazione, Silvia inizia ad allenarsi ogni giorno fin quando non raggiunge  il suo traguardo.

Ciò che accadde dopo lo sanno tutti: nel ’93 Silvia Salemi vince una puntata del karaoke condotto da Fiorello, nel ’95 vince il Festival di Castrocaro e in seguito partecipa nella categoria “Nuove proposte” del Festival di Sanremo 1996. Fino al grande debutto sul palco dell’Ariston nel ‘97, quando viene inserita nella categoria “Big” e partecipa con la canzone “A casa di Luca”.

Alla fine dell’intervista, le viene chiesto se si ricorda della sorella. Silvia risponde che ha impresso nella mente il suo volto solo grazie alle foto ma che è ben consapevole che avesse una bella voce, quella voce che le ha dato la forza e il coraggio di ricominciare  a inseguire i suoi sogni.

Fedez e Chiara Ferragni: Leone nascerà a Los Angeles

Da gennaio la coppia volerà Oltreoceano: il parto è previsto per il 9 aprile

Fedez e Chiara Ferragni stanno trascorrendo le ultime settimane a Milano infatti da gennaio voleranno a Los Angeles per aspettare l’arrivo di Leone Lucia Ferragni.

Fedez e Chiara FerragniLa loro vita milanese è documentata quotidianamente sui social. E proprio durante una diretta la coppia ha reso noti gli ultimi dettagli sul bebè. Il piccolo Leone, questo il nome del bambino, avrà due cognomi e nascerà a Los Angeles (America) dove i due si trasferiranno dopo le festività natalizie per aspettare l’arrivo del bambino. La nascita del piccolo è previsto per il 9 aprile, ma il piccolo Fedez Jr potrebbe decidere di anticipare e fare una sorpresa qualche giorno prima.

La decisione di far nascere a Los Angeles il piccolo potrebbe dipendere dalla possibilità per il piccolo di avere il doppio passaporto. Ma soprattutto di farlo nascere in un ambiente il più tranquillo possibile, lontano da paparazzi, luci e riflettori troppo intensi per il neonato.

Fedez in sala parto (e dalla parte di Chiara)

“In sala parto voglio esserci” ha affermato il rapper, ma la blogger vuole con lei anche la mamma. Infatti, Chiara è convinta di avere bisogno del suo aiuto e della sua vicinanza, come accade per tantissime donne che si apprestano a far nascere il proprio figlio, soprattutto quando si tratta del primogenito. Oltre alla mamma, però, la blogger vorrebbe anche altre due persone: Vorrei mia sorella Vale, con me, e anche Francesca che è un medico”. Quindi, la sala parto sarà molto affollata e saranno tante le persone che daranno il benvenuto a Leone.

In questo ultimo periodo Fedez non ha nascosto la sua (normale) ansia in vista dei nuovi cambiamenti che si stanno presentando uno dopo l’altro nella sua vita. Prima fra tutto, il fatto di diventare papà lo ha reso un super esperto di gravidanza, un fatto derivato sopratutto dalla sua innata ipocondria, come lui stesso ha raccontato. Insomma: Fedez vuole essere prudente e ben informato su ogni aspetto. In sala parto, vuole esserci a tutti i costi, nonostante Chiara risulti essere sorpresa da questo suo atto coraggioso. “Però starò dalla parte di Chiara” dice nel video, sottolineando il fatto che assisterà la sua amata letteralmente al suo fianco, aiutandola in tutti i modi possibili.

“Ho implorato per una tac” 14enne muore per aneurisma

DenniseSi reca in ospedale ma le dicono che si tratta di stress, dopo poche ore muore a causa si un aneurisma. Il tragico racconto della mamma: “Ho dovuto implorare per una tac”. Aperta un’inchiesta per omicidio colposo.

Frequentava il primo anno del liceo classico Orazio di Talenti Dennise, la ragazza 14enne deceduta all’ospedale Bambino Gesù di Roma per un aneurisma, poco dopo essere stata trasferita dal pronto soccorso del Pertini dov’era giunta da scuola, accusando un malore. La 14enne si lamentava incessantemente di dolori lancinanti, soprattutto alla testa, ma secondo quanto riferito dalla madre i medici le avrebbero consigliato solo “riposo”, diagnosticando i sintomi dello stress eccessivo.

Aperta un’inchiesta per omicidio colposo

Solo l’insistenza della madre avrebbe spinto i medici a effettuare una tac grazie al quale si è scoperta la gravità della situazione. Ma forse, ormai, era troppo tardi. Adesso sulla morte della studentessa è stato aperta un’inchiesta per omicidio colposo. La ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha chiamato degli ispettori per capire cosa sia accaduto, se ci siano o meno responsabilità per il decesso della ragazza.

Il racconto della madre di Dennise

Il Messaggero, riporta le parole della mamma che racconta della sua Dennise: la passione per il disegno e la musica, il violino e il pianoforte. Era una ragazza come tante altre, studiosa e seria, che aveva davanti a sé tutto un mondo da scoprire.

La donna, mamma di altri due figli, racconta il calvario di Dennise:

Dennise

“Un incubo. Le toccavano la pancia, come se stessero impastando la pizza. Mi chiedevano se aveva il ciclo, che cosa aveva mangiato. Ma io che ho lavorato in Croce Rossa mi rendevo conto che invece stava molto male. La mia bambina aveva gli occhi di chi era già in coma. Le pupille che si muovevano da destra a sinistra senza mai guardare dritto. Era rigida, non ha più parlato. Vomitava saliva che era muco giallo denso, non cibo. Imploravo che si muovessero, che le facessero una Tac. Lei non si svegliava”

Poi l’arrivo al Bambino Gesù alle 13.00, quando l’ingresso al Pertini era stato intorno alle 9.00. Purtroppo, la situazione era ormai disperata e, nonostante lo sforzo dei medici, la 14enne non ce l’ha fatta. Ora la famiglia di Dennise vuole sapere la verità, se la loro bambina poteva essere salvata, se qualcuno ha sbagliato per incompetenza o superficialità.

A 14 anni muore folgorata dal caricabatterie del telefono

Ragazzina folgorata dal caricabatterie del telefono: è morta

Una serie di tragiche circostanze sono costate la vita a Le Thi Xoan. La ragazza vietnamita che a soli 14 anni è morta folgorata a causa del cavo di ricarica dell’IPhone che aveva lasciato attaccato alla presa elettrica mentre dormiva. Un fatto davvero incredibile.

Il corto circuito provocato da una lacrima

Il corto circuito sarebbe stato causato da una lacrima della ragazza caduta durante il sonno. Questa sarebbe finita sul caricabatterie che poi è andato in corto circuito. Un tragico incidente, dunque, che ha portato via la vita dell’adolescente di Hanoi.

Le Thi Xoan

I genitori quando hanno visto la loro bambina hanno subito chiamato i soccorsi. Tuttavia, la corsa in ospedale non è servita a niente: i medici hanno confermato il decesso della quattordicenne, con la seguente motivazione: “scarica elettrica causata dal cavo elettrico difettoso del suo telefono trovato nel letto.”

Aperte le indagini: cavo era difettoso e probabilmente non originale

Come riportato da il Metro, sarebbe stata avviata un’indagine, in base alla quale si sarebbe accertato che il caricabatterie era rotto. Il caricatore è stato ispezionato ma le autorità hanno fatto sapere di dover ancora chiarire se si tratta di un cavo originale dell’Apple o di un alto dispositivo.

Analizzando le immagini diffuse, però, il caricabatterie in questione sembrerebbe essere più corto del cavo di ricarica originale Apple. Si potrebbe trattare, dunque, di una riproduzione e di conseguenza non realizzato dalla famosa azienda.

“Dipendenza” da smartphone

L’abitudine di tenere lo smartphone vicino anche quando si dorme sta purtroppo diventando una sorta di abitudine tra gli adolescenti ed i giovanissimi. Gli esperti ricordano che è opportuno non dormire in prossimità di apparecchi elettronici ed più in generale di usarli solo quando è necessario.

Sotto quest’aspetto è fondamentale il ruolo dei genitori nel tenere sotto controllo quella che sembra essere una vera e propria “dipendenza” dal cellulare.

È morto il piccolo Jacob, aveva chiesto delle cartoline per festeggiare prima il Natale

JacobLa sua storia ha fatto emozionare tutto il mondo. Jacob, il bimbo di Portland (America) di soli nove anni a cui i genitori avevano regalato un Natale anticipato, non ce l’ha fatta. È venuto a mancare domenica scorsa, il 19 novembre: una settimana dopo aver festeggiato il 25 dicembre insieme a tutta la sua famiglia e i suoi cari all’interno della camera del Barbara Bush Children’s Hospital di Portland dove era ricoverato. Il piccolo lottava da più di tre anni, febbraio 2014, contro un neuroblastoma ad alto rischio di stadio. Nell’ultimo periodo la situazione era peggiorata tanto che i medici dell’ospedale pediatrico si sono visti costretti ad informare i genitori che con scarse probabilità il bimbo sarebbe arrivato a Natale. Per questo motivo, la mamma e il papà di Jacob hanno deciso di anticipare la festa preferita del loro figlioletto a sabato 11 novembre, per permettere al piccolo di festeggiare, per l’ultima volta, la nascita di Gesù.

La notizia dalla famiglia

JacobAd informare della terribile notizia è la famiglia di Jacob attraverso Facebook: «È con cuori pesanti che condividiamo la notizia della morte di Jacob. Domenica, 19 novembre 2017, a soli 9 anni, è morto pacificamente dopo la sua battaglia di quattro anni con il neuroblastoma. Speriamo che la storia di Jacob e l’enorme sostegno ricevuto da tutto il mondo avranno un impatto duraturo sulla sensibilizzazione riguardo a questa malattia. Ogni persona che ha scritto a Jacob una cartolina di Natale, mandato un regalo, un messaggio, un video o una preghiera ha fatto la differenza negli ultimi giorni della sua vita. Avete portato gioia e ottimismo per il futuro. Grazie per averci dedicato del tempo e per esservi interessati al suo cammino. Purtroppo, ci sono molti altri come lui che speriamo continuerete ad aiutare. Fate qualcosa per gli altri, donate sangue o plasma, usate i vostri talenti per portare riparo, nutrimento o gioia a chi ha bisogno in onore di Jacob».

“Sono disperata. Non ho neanche un soldo per mangiare”

Chiara Insidioso Monda Un atto disumano, una famiglia distrutta, tante vite cambiate per sempre. Non se la passa bene la famiglia di Chiara Insidioso Monda,  la ragazza ridotta ad uno stato di invalidità permanente a causa della violenza dell’ex fidanzato.

Era il 3 febbraio 2014 quando Chiara Insidioso, allora 19enne, è stata brutalmente picchiata dal ragazzo con cui era andata a vivere poche settimane prima. La ragazza finisce in coma per quattro mesi, poi si risveglia. Ma lei, non è più la stessa, non è la 19enne innamorata della vita, che coltivava sogni e speranze, non è più stata la donna di prima. Chiara si è risvegliata diversa, in stato vegetativo, mentre il mondo sembrava crollarle addosso

La mamma di Chiara affida ai social network il suo dolore

Adesso mamma Danielle è preoccupata per il futuro, per il futuro di sua figlia, cosi affida il suo dolore ai social network:

Chiara Insidioso MondaSono disperata. Sono la mamma di Chiara Insidioso, ridotta ad un invalidità permanente dalla violenza del fidanzato. Chiara è ricoverata a Roma in un centro per lungo degenti gravi. Io sono accanto a lei tre giorni a settimana per assisterla. Non lavoro e non ho una casa. Da quando è accaduta la disgrazia tre anni fa le ho chiesto aiuto per avere un lavoro e una casa. Dopo due anni ho ottenuto, dai servizi sociali, un assegno di trecento euro al mese, che mi è stato sospeso dopo pochi mesi per mancanza di fondi. Ora non ho più soldi per mangiare e per viaggiare col treno per andare da Chiara. Sono veramente disperata. Chiedo un lavoro per vivere dignitosamente. Non chiedo l’elemosina!”

Qualche settimana fa, si era tornato a parlare del caso di Chiara Insidioso Monda. L’argomento è stato trattato da Le Iene, noto programma di Italia 1, che raccontava la drammatica situazione nella quale la giovane Chiara si trova. Una degenza forzata in una clinica della Capitale con le parole di Papà Maurizio e l’insicurezza sul futuro che verrà.

Ore di lavoro donate alla mamma di Maëlys: «È il minimo»

I colleghi dell’ospedale di Pontarlier hanno deciso di dare una mano alla mamma della piccola Maëlys scomparsa alla fine del mese di agosto

MaëlysLa piccola Maëlys, la bambina di 9 anni di cui si sono perse le tracce durante una festa di matrimonio a Pont-de-Beauvoisin nell’Isère, è scomparsa nella notte fra il 26 e 27 agosto.

Il principale sospettato è stato messo sotto arresto e si trova in carcere dal 3 settembre, ma nega ogni accusa.

«Chiediamo a qualsiasi persona in grado di aiutare gli inquirenti di farsi viva rapidamente – ha detto Jennifer De Araujo, la mamma di Maëlys -. Oggi un individuo è sospettato, indagato da giudici che ritengono gravi e concordanti gli indizi a suo carico. Gli chiediamo di raccontare che cosa è successo quella notte e di collaborare con la giustizia. Il suo comportamento non ci convince, la sera del matrimonio ha avuto un comportamento strano. Potrebbe avere informazioni importanti per salvare nostra figlia».

La famiglia non si arrende e prosegue con le ricerche, così come la polizia. Chi è vicino ai parenti della bambina prova in tutti i modi di rendere questa agonia meno pesante, fra questi i colleghi della madre all’ospedale di Pontarlier che hanno deciso di aiutarla donandole delle ore di vacanza.

Maëlys

Come riferisce L’Est Républicain la direzione ha acconsentito alla proposta dei rappresentanti del personale. «Ognuno donerà ciò che vorrà o potrà anche solo un’ora o una mezza giornata». I colleghi di Jennifer de Araujo sanno bene che un suo ritorno al lavoro è improbabile e che le ore di lavoro sono l’ultimo dei suoi pensieri.

A partecipare a questa bella iniziativa c’è anche chi non conosce direttamente la donna: «Anche io sono una mamma, è il minimo che possiamo fare», è stata la spiegazione. Se tutti i dipendenti doneranno anche soltanto un’ora non saranno lontani da coprire un anno di lavoro di Jennifer

Si rompono le acque all’alba ma è da sola: mamma jesolana partorisce in casa

Già madre di 2 figlie a 34 anni, la donna, iniziato il travaglio a notte fonda del 3 novembre scorso, non si perde d’animo. Il marito è via per lavoro e lei dà alla luce una bimba di 3 chili

Un evento del tutto unico e che a Jesolo (Venezia) non accadeva da più di 20 anni. Una donna di 34 anni del posto, già mamma di altre 2 bambine, ha partorito il passato 3 novembre la sua terza figlia. Si chiama Sofia, pesa oltre 3 chili, ed è venuta al mondo nella camera dei suoi genitori, in seguito ad un lungo travaglio iniziato all’una di notte, mentre si trovava da sola in casa, e la rottura delle acque alle 4 del mattino.

Senza complicazioni

Il marito si trovava infatti fuori casa, per motivi di lavoro, e l’alternativa, dopo la chiusura del reparto di ostetricia dell’ospedale di via Levantina, al Lido, sarebbe stata quella di chiamare il pronto soccorso di San Donà.

Laura«È stato bellissimo», ha dichiarato mamma Laura assieme al marito Raniero, «un’esperienza che ricorderemo per tutta la vita. Nostra figlia è nata a Jesolo, e da tanto non accadeva. Quando mi si sono rotte le acque avevo già avuto le contrazioni verso l’1 e l’1 30», ricorda, «erano le 4.15 e ho pensato di andare avanti da sola senza avere paura, ma cercando di mantenere il controllo e ricordare cosa avevo fatto nelle precedenti gravidanze e parti delle altre nostre due figlie all’ospedale di San Donà. Sofia è nata in casa, in casa sua, ed è stato meraviglioso».

La donna ha solo chiamato la madre, Nadia, che si è immediatamente precipitata da lei per assisterla. La bimba è nata nella camera dei genitori, senza alcuna complicazioni. In seguito, la 34enne è stata trasportata insieme alla mamma all’ospedale per il taglio del cordone ombelicale e per i controlli.

Il calore di casa

Il papà della piccola Sofia, un agente jesolano di 48 anni, era felicissimo della nascita avvenuta in casa. D’altro canto, nell’ultimo periodo della gestazione, i due coniugi avevano pensato diverse volte alla possibilità di realizzare un parto in casa, con l’assistenza di ostetriche a domicilio. Tutto ciò anche per evitare il trasferimento fuori dal Comune delle madri jesolane: idea appoggiata anche da una parte del mondo politico della località turistica. A tal riguardo Laura ha dichiarato: «Partorire nella nostra casa è diverso, perché possiamo sentirci a nostro agio, nel nostro ambiente familiare e questo rappresenta davvero un aiuto».